Mi chiamo Roberta Manzin e sono nata in pieno Delta. La curiosità per la psicologia nasce da esperienze diverse e da incontri significativi. Mi iscrivo a Padova, la città “storica” per l’Università, ma soprattutto la città-crocevia di amicizie e di autonomia. Terminata “in fretta” l’esperienza universitaria, mi apro a linguaggi nuovi. Le idee sul mio futuro, in quel periodo, non sono affatto chiare e così vado a “curiosare” per Bologna, in attesa di costruire “basi più precise” della mia definizione. Mi piace molto l’inventare, e il linguaggio della pubblicità mi interessa. Ma soprattutto mi interessa scoprire come “costruire” il messaggio vincente, quello che rispetta un po’ il goal, l’obiettivo. Mi sovviene così l’idea di voler “fare da grande” chi si occupa di messaggi che funzionano, occuparmi pertanto di comunicazione (senza saperlo, avevo già posato la prima pietra inerente la comunicazione, sebbene non terapeutica) “commerciale”.
La psicologia del lavoro di cui mi occupo a Bologna non mi attiva quella creatività di cui mi aspettavo. La definita creatività e l’attivazione di circoli di idee, arriveranno solo più tardi (molto più tardi). Così, demotivata e di nuovo con diversi punti di domanda, ritorno al mio paese e “per occupare il tempo”, comincio un tirocinio “clinico” che, invece, influenzerà poi l’evoluzione della mia professione. E’ proprio vero che la non aspettativa di qualcosa, sapendo “guardare bene”, evidenzia invece l’accadimento di esperienze poi significative!
Mi occupo –nel tirocinio- di psicologia dell’Età evolutiva; seguo per un lungo periodo una situazione di autismo grave inserito in un contesto scolastico e…interagisco. La relazione con persone e contesti nuovi, mette in discussione certi giudizi che avevo, come ad esempio che “il problema è della persona che lo manifesta” oppure che “certe patologie non hanno evoluzione” (pregiudizi che mi avevano di fatto allontanata dal clinico già all’Università, per cui per me l’interesse per il comportamento umano era prettamente per la comunicazione, le emozioni, le idee, le relazioni nei contesti di cosiddetta “normalità”). E così comincio ad allargare il mio orizzonte. Ecco allora che il primo incontro significativo è proprio nella mia tutor, che all’epoca, aveva appena iniziato un percorso psicoterapeutico in teoria sistemica a Padova. Pensare che all’Università avevo imparato che la psicoterapia era prerogativa quasi esclusiva della corrente psicoanalitica! Per cui parlare di sistemi e di paziente designato e di patologia delle relazioni era un settore nuovo, ma apriva anche una finestra sull’osservazione del mondo in modo “alternativo”.
Avida del nuovo interesse per le difficoltà del comportamento umano, mi lancio letteralmente nel gruppo. Seguo un percorso per diversi anni in un Servizio per le Tossicodipendenze e conosco la mia nuova “curiosità” rispetto a relazioni di gruppo. Mi sono sempre pensata riservata e poco esuberante nelle relazioni, e mi scopro con questa nuova risorsa, e nel gruppo mi sento finalmente a mio agio.
Da lì, nasce il cominciare a definirmi. Mi iscrivo alla prima scuola di specializzazione: approdo così a Roma, per approfondire il linguaggio del corpo, nella scuola quadriennale di Medicina Psicosomatica dei docenti Biondi e Pancheri. Lì acquisisco tecniche molto pratiche quali l’utilizzo del Biofeedback e applico tecniche comportamentali (che avrò modo di approfondire ulteriormente -nell'aspetto soprattutto cognitivo- a Verona, con i dott. Baldini e De Silvestri, presso l'Istituto R.E.T. ovvero Rational Emotional Therapy)a situazioni importanti di somatizzazione e non solo; apprendo modalità terapeutiche nuove applicate nella teoria sistemica e cioè quelle “ipnotiche (ericksoniane), nella scuola di Loriedo e Vella.
Il contesto –cioè Roma- mi stimola a lavorare su questi aspetti e “carica” di nuove letture ed esperienze (l’incontro con colleghi più vari), ri-approdo in paese, con la voglia di sperimentare. Da lì –ed era l’anno 1990- inizio la mia attività di psicologa (solo due anni dopo, conclusa la prima specializzazione, anche di psicoterapeuta) nel territorio, dapprima in punta di piedi –come per tutti “i principianti” e poi –solo nel tempo e con l’esperienza maturata “a spada tratta”.
E’ degli anni ’90 l’incontro probabilmente più significativo, quello che mi orienterà e mi legherà maggiormente negli anni successivi.
Un ennesimo tirocinio ( se non ci fossero stati, avrei perso occasioni di crescita importanti!) questa volta di nuovo a Padova, mi mette in contatto con uno stimolante circolo di idee (questa volta tecnico, oltre che nuovo e curioso) e nella fattispecie con il gruppo di Terapia Sistemica del Servizio Psichiatrico “dei Colli” diretto da Andrea Mosconi. Ma sarà poi l’incontro con Pio Peruzzi che mi collocherà in modo più preciso nel circuito della teoria sistemica. Con lui partecipo ad una ricerca pluriennale sulla Psicosi e il trattamento Psicoeducativo, alternativo al metodo Faloon (esperienza tradotta poi successivamente agli inizi del 2000 e applicata presso il Dipartimento di Salute Mentale di Chioggia); con lui inizio una relazione di Supervisione, attualmente ancora in corso (da qualche anno in un piccolo gruppo di cari colleghi, artefici anche loro della mia “crescita” professionale e non solo, mentre all’inizio il percorso era più intimo, individuale); per suo suggerimento, mi specializzo, la mia seconda specializzazione, nella Psicoterapia Sistemica secondo l’orientamento del gruppo di Milano (Boscolo, Cecchin).
Con questo approccio, imparo e applico e trovo applicato sempre maggiormente, il concetto di curiosità e di interazione e la precarietà delle stesse idee e il bisogno di andare oltre la stessa definizione di diagnosi (per dirla alla Bateson:”nelle scienze del comportamento, i tre quarti circa di tutte le ipotesi sono in sostanza principi dormitivi”): in sintesi, mi accorgo di aver sempre cercato e alla fine “sposato” (anche se mai ufficialmente, sarebbe un’incongruenza)una lettura di “libertà”, che mi aiuta a interagire con chi mi chiede aiuto.
Il mio compito di psicologo psicoterapeuta è quello della complessità: delle relazioni, dei punti di vista, con l’obiettivo di orientarmi meglio nel territorio della mente, senza pensare di aver individuato l’ipotesi assoluta. Capire per allargare e superare il dato di realtà osservato. Un pensiero in continua evoluzione. In questo senso, giunta alla meta, posso dire di ritrovare quegli ingredienti che mi avevano “ispirato” all’inizio per orientarmi. E mi sembra di poter dire che questo circuito di idee in cui mi ri-trovo mi aiuta a sentirmi maggiormente a mio agio, rispetto ad ogni previsione.
Se inizialmente quasi mi intimoriva “l’idea” di occuparmi di relazioni “cliniche” ora credo sia stimolante e gratificante, purchè resti invariata l’idea della continua “curiosità” verso il referente della relazione. E l’apprendimento diventa allora circolare e la comunicazione sempre nuova e carica di “meraviglia”.
Questo approccio giorno dopo giorno trovo che si adegui bene alle varie sfaccettature della realtà in cui vivo, dato che l’implicito è quello della curiosità e della circolarità nella relazione. La difficoltà infatti non sta nell’applicazione di un tipo di lettura del disagio –anzi spesso è un vantaggio la lettura relazionale- ma nell’aspettativa del paziente, troppo spesso confuso –ma credo un po’ in tutto il territorio nazionale- da quello che pensa sia il lavoro dello stesso psicologo: un po’ mago, un po’ prete, un po’ psichiatra, un po’ “colui che fa il lavaggio del cervello”, assumendo –il paziente- una posizione prima “passiva” piuttosto che di collaborazione (che avviene solo dopo “aver conosciuto cosa fa lo psicologo psicoterapeuta”. Ma questa è una fatica che un po’ alla volta si supera, basta saperlo.
Non credo di essere “arrivata” anzi. Forse mi sento piuttosto gratificata per il paio di occhiali teorici che ho inforcato, ma non credo che mi fermerò comunque: il circolo di idee è e deve essere in perpetua evoluzione.
Nella mia attività mi occupo sia di situazioni individuali e familiari, e poi allargo anche ai gruppi che organizzo da qualche anno insieme ad una collega; mi incuriosisco per i progetti extra clinica, e cioè le collaborazioni ad esempio con le scuole (attualmente seguo un progetto di formazione per genitori, già effettuato circa 10 anni prima dalla sottoscritta, con un approccio mentale differente: questo mi ha stimolato e messo in “auto-sfida”); inoltre colgo sempre volentieri gli inviti pubblici, su diversi argomenti, sempre come stimolo a migliorare, a crescere,e “stare nel territorio”.
L’idea di “stare con” è l’idea portante: il bisogno per me di uscire dal contesto più privato e la voglia di confrontarsi in contesti diversi, è un motore di crescita. Come nella vita: di fatto la recente passione per la vela, è coerente con l’idea del movimento e di cambiamento attraverso una collaborazione (con l’equipaggio), la curiosità (della meta e della manovra), la relazione tra le parti (riuscire implica un impegno comune e una conoscenza comune). L’approccio velico sintetizza un’operare psicoterapeutico secondo questa teoria. Inoltre mi appaga per il senso di “libertà” di movimento, pur avendo “la meta”: dipende come voler arrivare , scegliendo quale percorso.
Poi cos’altro? Il lavoro mi ha aiutato a cambiare: e ogni cosa che faccio è un reale apprendimento e questo mi aiuta anche nel privato. Nel mio tempo libero lo spazio maggiore è verso la mia famiglia e i miei due bambini, che non finiscono mai di sorprendere e attivare la mia mente.
Mi piacciono i progetti e mi incuriosisco per quelli che mettono insieme più persone e ruoli, e mi piacciono le automobili, anche queste rigorosamente “aperte” per spaziare a più gradi, avere un po’ “la testa fuori”. Mi piacciono gli opposti, dai colori (il bianco e il nero soprattutto) alle canzoni (dai cantautori italiani al country dei cantautori americani e inglesi), dalle temperature esterne (amo il caldissimo come il freddo, pur che sia d.o.c.) all’utilizzo del tempo (ora molto organizzato ora completamente anarchico). Molto sportiva: da piccola appassionata di calcio (anche fino a qualche anno fa), in età adolescenziale praticante di pallavolo, ora il jogging all’aria aperta è un rivitalizzante. Sono un’ex suonatrice di pianoforte, smesso per la scelta sportiva della pallavolo (“una promessa mancata”). Sono una pianificatrice di viaggi: il viaggio per me rappresenta un’abbuffata piacevole di novità e di persone, e concepire il viaggio come “riposo fisico” è poco allettante. Per cui il rientro apparentemente è una fatica, ma una ri-carica di stimoli, che dà di fatto la sensazione poi di essere in vacanza anche altri momenti dell’anno.